How The Project Was Received

“L’occhio elettronico della macchina fotografica coglie scorci di vita quotidiana, ma dietro quell’occhio c’e' la volonta' dell’artista. Alessandro Papari si muove nelle metropoli in piena liberta', Napoli in primis, la propria citta', e poi tutte quelle che riesce a visitare, per svago o per lavoro, poco importa, poiche' a contare e' solo la sua volonta': osservare e fermare momenti di vita metropolitana, cogliere ignari passanti in attimi di serena inconsapevolezza, nel loro impegno giornaliero o nel pieno di una pausa riflessiva. Ma il mestiere di Papari e' la pittura, tradizionale, stesa ad olio su tela o piu' raramente su tavola, col pennello e con la spatola. Una pittura tradizionale nei modi, ma non nei risultati. La vita quotidiana vissuta sul posto, e fissata nell’immaginario con l’istantaneita' del primo scatto, e' filtrata dall’interiorita' dell’artista che ne assimila ogni minimo aspetto, ricomponendolo sulla tela con l’intervento del colore, trascinando la realta' nel suo personalissimo universo pittorico.”

Andrea Baffoni

“Nella serie Circle di Alessandro Papari, giocolieri ed altri artisti girovaghi mostrano la propria abilita' nel maneggiare gli strumenti della propria "arte nomade". Elemento comune a tutte le opere e' la presenza del cerchio come forma geometrica archetipica: simbolo di delimitazione, di continuita' e di movimento.
Papari coniuga con molta padronanza diverse tecniche pittoriche, lasciando che materia corposa si combini con fondi piu' piatti e sfumati. La materia si concentra per lo piu' in quei dipinti in cui i cerchi rappresentati sono quelli di fuoco: in questi il movimento dei giocolieri fa si che (nei vari quadri) il cerchio venga declinato in una serie di forme derivate e ricche di ulteriori sfaccettature simboliche: l'ovale, il cerchio doppio, la spirale, ecc. La pittura si condensa li dove c'e' il fuoco che da luce a tutto il resto della composizione lasciata in ombra, in un gioco di forti contrasti.”

Marco Izzolino

“Tutta la vita di Napoli e' impastata con un lievito, non sempre giocoso, in certi casi involontario, talvolta dagli esiti perfino tragici, di parossismo, di enfasi, di esasperazione; ne consegue una condizione perennemente sopra tono. Napoli e' una citta' davvero – oltre che per le preziose testimonianze artistiche – barocca, nel senso che sembra esserle estranea una declinazione ordinaria delle vicende esistenziali. Prendiamo un caso recente: un po' dappertutto, tristemente, ci tocca assistere alle proteste di disoccupati e di extracomunitari contro drammatiche condizioni di vita. Ma solo a Napoli ad uno di loro e' saltato in mente di scalare il monumento a Garibaldi, proprio davanti alla stazione, di installarsi sul cappello bronzeo dell'Eroe dei due Mondi, restandovi appollaiato per un paio di giorni, minuscolo stilita metropolitano su quel colosso di patrie memorie. L'episodio di cronaca ha colpito l'immaginario, anch'esso veracemente partenopeo e quindi geneticamente incline alla trasfigurazione visionaria, di Alessandro Papari, che ne ha fatto il tema conduttore del suo piu' recente ciclo di dipinti: Blessed. A Papari, ovviamente, il fatto non interessava in quanto tale ma quale spunto per una singolare metamorfosi mentale: il clandestino arrampicato sul cappello di Garibaldi, e' apparso al pittore come una sorta di dominatore della citta', come un'ulteriore versione, aggiornata e in carne ed ossa, dell'eroe; anzi addirittura come una nuova epifania del supereroe, di quelli che, per prime, ci hanno fatto conoscere le strips dei fumetti. Librato sopra la citta', l'ormai anonimo scalatore si e' guadagnato un'effimera evidenza di uomo in rivolta: e Papari non se l'e' lasciata sfuggire, dipingendola con angolazioni e messe a fuoco disparate. Il ciclo Blessed registra un mutamento nel percorso interno della pittura, in particolare della qualita' della pittura, dell'artista napoletano: la pennellata e' ora tornata a farsi sfaldata, veloce, dopo un periodo di maggiore struttivita'. Talvolta essa appare quasi gestuale, dal sapore lemurico tra un guizzare di flashes misteriosi. Le ambientazioni piu' suggestive e misteriose sono naturalmente quelle notturne. Che i giochi siano tutti aperti, e che l'artista si riservi la liberta' di scelta e di manovra, lo dimostra pure il fatto che, a dipinti dalla stesura levigata del colore, se ne affiancano altri dove la sostanza pittorica e' stesa a spatola, con effetti di marcata rilevatura, con un'attenzione quasi materica.”

Carlo Fabrizio Carli

“L'innesco e' una scena ordinaria, colta ai bordi della vita meno suggestiva ed evidente. Figure in un'intimita' domestica senza confidenza, operai al lavoro, bagnanti; oppure cantieri e scene di quel limite in cui la citta' non si fa periferia ma terra di nessuno, luogo/non luogo di evidenza surreale in se stessa. Papari vi immette una selezione dei dati che privilegia dei punti squilibrati d'attenzione, forza l'aspettativa del riguardante ponendo i fuochi visivi fuori centro, addirittura ai bordi e amplificando lo sbilanciamento compositivo con diagonali pericolanti, con passaggi di piano digrignanti. Poi c'e' la pittura, in cui risiede il fattore di massima autenticita' del suo lavoro. Papari sceglie un pennelleggiare forte e veloce, ma incisivo, di cui devi avvertire la forza, l'urgenza del braccio che sedimenta energia nel col peggio, il quale pare aggredire l'immagine per poi arrestarsi, come perplesso, in una sorta di tensione ansiosa.”

Flaminio Gualdoni

“Papari parla di Napoli perche' ha intuito la sua realta' di metropoli unica che si puo' cercare di comprendere solo immergendosi nelle sue budella, una terra di confine che si apprezza solo con un occhio aperto e lontano da tutti gli stereotipi (sia positivi che negativi), una citta' in cui l'Arcadia si fonde alla Los Angeles di Blade Runner, in cui i neon e gli infissi in alluminio sono montati sulle facciate barocche di palazzi in rovina e dove i grattacieli sovrastano le cupole seicentesche. E Papari e' un interprete consapevole di questo volto di Napoli, di una terra della quale Giacomo Leopardi aveva già colto la fusione di bellezza e di inesorabile crudelta', un luogo che si puo' cercare di descrivere e rappresentare solo con un'ibridazione "transgenica" tra la commossa descrizione delle meraviglie naturali (oggi spesso devastate) del territorio partenopeo fatta dai poeti classici e romantici e gli scenari urbani postatomici dell'Interfaccia e dell'Agglomerato descritti da vari autori di fantascienza. Mostra personale presso la Galleria Brambati Arte 6 Aprile – 5 Maggio 2002.”

Lorenzo Canova

“Nel succedersi delle passioni che ci possiedono capita talvolta che una pagina letta e un quadro visto si riflettano l'una nell'altro, quasi che entrambi siano stati creati allo solo scopo di unirsi nella nostra mente, prima o poi. E non ci sono gerarchie, classificazioni in grado di arginare quella complicita' prima impensabile e adesso improvvisamente rivelata. Cio' che lega tra loro libri e dipinti e' imponderabile. Dunque non sembri poi troppo una stranezza il fatto che le opere di Alessandro Papari, di questo giovane pittore napoletano, specchino le parole di Anna Maria Ortese, con la Morante la piu' grande scrittrice italiana del '900, che proprio Napoli aveva circondato con tutto l'oro ed il buio che poterono certe sue pagine. Come questa: "…una patina misterioso intruglio di piogge, polvere e soprattutto di noia, si era distesa sulle facciate, velandone le ferite e riconducendo il paesaggio a quella immobilita' rarefatta….ove fosse mancata l'eterna folla di Napoli, semovente come un serpe folgorato dal sole, ma non ancora ucciso, tra quelle distinte apparenze di un'ete' remota, quel paesaggio non sarebbe apparso spettrale. Mostra personale presso Grenoble Istitut Francais.”

Marco Di Capua

“Sono anni che a Napoli vengono alla pittura giovani di bell'impatto figurativo, ricchi di talento. Sara' per quella naturale intelligenza della rigenerazione, propria della cultura partenopea, che ha fatto reagire quei nuovi artisti al piattume lucioamelistico e transavanguardistico di questi ultimi decenni; o sara' per la presenza di un'Accademia forte, ancora animata dall'impronta di Armando De Stefano o di Augusto Perez, fatto sta che quella napoletana e' oggi davvero una scuola di buone sorprese e bei risultati. Alessandro Papari, napoletano appunto, non ha ancora quarant'anni: l'avevo premiato sette anni fa al Morlotti-Imbersago, ed e' da allora che ne tengo d'occhio il lavoro. E' una figurazione la sua in cui gli enigmi della solitudine urbana e dell'inquieto mistero dei luoghi del nostro quotidiano si distendono in immagini acutissime, umorali e disincantate, di contemplazione attonita ma, anche, in fondo, in qualche modo sognanti, ancora capaci di sorprendersi e dunque di sorprendere: senza l'immobilita' agghiacciata della rassegnazione o dell'alienazione compiuta, e invece inquietate dalla incongruita' di minimi incontri surreali, dalla spigolosa poesia di lievi ma saporiti dirottamenti del senso. Proprio come accade soprattutto in quest'ultimo ciclo, maturo, denso, persuasivo, i cui personaggi sono dimessi protagonisti/voyeurs, bagnanti/esploratori/testimoni di una sorta di diario di viaggio negli spazi desolati e sospesi dell'ex-Italsider di Bagnoli, tra una spiaggia improbabile e gli ecomostri dell'archeologia industriale, tra pontili puntati verso un orizzonte di fiele e i rottami del nostro comfort interiore, dove al loro sguardo fisso sull'ambiguità di indicibili estraneazioni si offre una sorta di permanente fuori-quadro, uno slittamento costante dell'immagine verso una deriva da dagherrotipo del futuro prossimo, verso un fremito liquido delle cose alla Blade runner: cose negate e disperse, cose perdute, missing. Sono tele e tavole in cui una luce di ruggine si impasta in maniera acquosa e allusiva al senso di un'atmosfera malata. E da qui, da questi panorami tossici del nostro presente sospeso sulle crisi indicibili del vivere, quelle vecchie e quelle nuove, si allarga efficacemente e suggestivamente l'intuizione metaforica di una attualissima, affilata, commossa melanconia esistenziale.
Dal catalogo della mostra Missing.”

Giorgio Seveso